Australia, my golden jail

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Mi vengono in mente certe scene, quando un viaggio é così lungo, impervio, transcontinentale. Quelle in cui pensavo con urgenza a ricostruire un sogno, ogni volta che sembrava frantumarsi con la stessa passione con cui ne avevo recisi altri. Come fare, ancora ben non sapevo, dato che qui tutti sono metà Aussie e metà qualcos’altro. Inglesi ma con origini maori, asiatici ma con background americani, metà italiani e metà libanesi, metà questo e metà quell’altro. E poi io, metà italiano e metà “terrone” di Matera. Come nessuno di loro.

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Dopo il veloce ritorno in patria nella culla dei ricordi, back to Wonderland, again. Oh, Australia mia, Australia bella, prigione dorata. Prigione perché la tua vita precedente sembra a volte quella di qualcun altro, a migliaia di km, lontana nel tempo e nello spazio, confinata in fondo a destra del mappamondo. Dorata perché un posto così resta un insano rito di bellezza. La natura qui si é divertita a rivestire questa terra con il blu dei suoi oceani, il rosso dei suoi deserti e il verde delle sue sconfinate brughiere e delle sue immense foreste di eucalipti, che ne solcano le viscere colme d’oro e di rame. Australia, isola prospera.

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C’è sempre a Sydney, così come ovunque Down Under, un angolino in cui trovare l’infinito: oltre una scogliera, dietro una collina, alla fine di una (finalmente piccola) strada. Basta uscire appena fuori dalla city per riscoprire la portata dei suoi spazi siderali. Le Blue Mountains  – a due ore da qui, nella silente Katoomba, sono il disegno personale di Madre Natura, di quello che sarebbe diventato il concetto di meraviglia umana. E’ qui che giace l’Australia aborigena, lontana dai centri commerciali, dai wanna be model di Bondi Beach, dagli hipster di Melbourne, dal paradiso del surf in Queensland. E’ qui che si incontra la libertà senza confini, dove perdersi nel silenzio e nella surreale foschia bluastra emanata dagli oli delle foglie di eucalipto. Spogliarsi e tuffarsi nelle cascate limpide che scorrono dalle gole boscose conduce la mente al “Dreamtime”, l’epoca del sogno in cui qui, secondo gli aborigeni, vivevano esseri spirituali che prima dell’arrivo degli uomini avrebbero creato ogni aspetto del mondo naturale e sarebbero gli antenati di tutte le forme di vita. Partendo da qui, un continente rimasto isolato per millenni dal resto del pianeta ha preso forma. In un ecosistema così fragile, così speciale.

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Il sole torrido di metà mattino lascia il posto a un fresco tramonto, prima che il treno per Sydney arrivi a sfumare la magia di quelle serate. Mi mancheranno sempre questi giorni, mi mancavano già mentre li stavo vivendo. Non mi resta che continuare a fare le cose con il mio modo, un po’ sbagliato, un po’ maldestro, un po’ schizofrenico, ma sempre benissimo e con amore. Di qualsiasi cosa si tratti.

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Sperando di avere finalmente tempo per costruire, perché non ne ho mai avuto abbastanza. Dovevo sempre ripartire per smaltire una qualche delusione e infine crearmi il piano di una esistenza ulteriore. Ripenso a quanto sono arrivato in alto e ho avuto l’impressione di aver toccato il cielo mentre ogni giorno imparo a bastare a me stesso più che ad amare perdutamente.
Mi preparo a nuovi cieli e nuove terre e come i poeti accetterò il flusso dei simboli e dei significati.

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